Venerdì, 26 Gennaio 2024 08:13

Recupero dei prati stabili, non è solo una questione di foraggi   In evidenza

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#agricoltura  #ParmigianoReggiano

Di Francesco Verna - SPP - Consorzio Formaggio Parmigiano Reggiano

I prati stabili sono realtà il cui significato va oltre l’aspetto prettamente foraggero, essendo essi strumenti eccezionali di biodiversità, sostenibilità, salvaguardia del territorio. Soprattutto nelle aree più difficili di collina e montagna, il loro recupero e mantenimento rappresenta la condizione primaria affinché possa rimanere una zootecnia attiva, con quel che ne deriva in termini ambientali e sociali per le comunità del posto. 

Per un comprensorio come quello del Parmigiano Reggiano, dove molto del suo territorio è in area collinare e montana, si capisce come la questione sia centrale. 

È quindi una logica conseguenza di tutto ciò che il Consorzio del Formaggio Parmigiano Reggiano sia tra i principali sostenitori del progetto di Slow Food mirato proprio alla valorizzazione dei prati stabili e al sostegno di chi intende ripristinarli dove sono andati perduti.

Giornata di inizio 

Questo progetto ha avuto la sua giornata iniziale il 18 gennaio scorso, presso la sede del Consorzio a Reggio Emilia, con un incontro tra allevatori e caseifici interessati e Slow Food, Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali, Alimentari (DISAFA) dell’Università di Torino, CRPA e CREA, cioè tutti gli Enti coinvolti nel progetto sui prati stabili. 

La giornata è stata suddivisa in due parti, con la mattinata dedicata a una serie di presentazioni tecniche, mentre il pomeriggio è stato utilizzato per una serie di lavori di gruppo tra i partecipanti per esprimere le valutazioni in merito a quanto illustrato e avanzare proposte e suggerimenti sulle fasi future. 

Come ricordato da Marco Nocetti, responsabile del Servizio di Produzione Primaria del Consorzio, sono molti gli aspetti che legano il formaggio Parmigiano Reggiano ai prati stabili. C’è sicuramente la parte foraggera, perché le aziende produttrici devono essere in grado di autoprodurre una quantità cospicua di foraggi e quindi la valorizzazione dei prati stabili è una via necessaria per migliorare quantità e qualità dei foraggi prodotti in azienda. C’è il valore organolettico del latte prodotto con bovine alimentate da questi foraggi, che accresce la distintività e il legame col territorio del formaggio.

E poi ci sono anche quelli sociali, ambientali e di comunicazione, altrettanto importanti per un prodotto come il Parmigiano Reggiano verso cui il consumatore chiede rassicurazioni non solo per le sue caratteristiche organolettiche, ma anche per tutto ciò che riguarda la sostenibilità, il territorio e la sua biodiversità e proprio per questo diventano anche strumenti importanti di valorizzazione e marketing.

I temi tecnici

Nelle relazioni dell’incontro – i cui video integrali possono essere visti a questo link: https://allevaweb.it/progetto-prati-stabili-2/

 – si sono considerati molti degli aspetti legati ai prati stabili, non solo quelli foraggeri. Dapprima Raffaella Ponzio, del coordinamento progetti biodiversità di Slow Food Italia, ha illustrato il progetto Prati stabili, inquadrandone finalità e importanza. A seguire si sono succedute le relazioni tecniche. 

Giampiero Lombardi, dell’Università di Torino ha ricordato ad esempio l’apporto in termini di mantenimento della biodiversità, dello stoccaggio del carbonio, della regolazione del clima, della qualità dell’acqua, del controllo dell’erosione del suolo. Ecco perché, come ha ricordato il relatore, il prato stabile (compreso quello di pianura) va inquadrato in ambito più ampio del suo semplice aspetto foraggero, per gli aspetti ecotecnici e ambientali che garantisce. 

La questione della produttività dei prati stabili resta comunque centrale, essendo essi inseriti in un sistema zootecnico che, nel caso del Parmigiano Reggiano, richiede grandi quantità di foraggi. Di questo ha parlato Maria Teresa Pacchioli, del CRPA. Il prato irriguo di pianura, ben gestito, permette tagli e masse foraggere che non si distanziano molto da prati avvicendati, ma pesa fortemente, in maniera sempre più critica legata ai cambiamenti climatici in atto, la carenza di acqua per l’irrigazione che impone di ripensare alla questione dal punto di vista tecnico e di organizzazione. 

Criticità anche per la situazione della collina e della montagna, dove si deve fare i conti con, oltre che con la disponibilità idrica, con le difficoltà operative della fienagione, con il numero minore di tagli e la variabilità qualitativa dei foraggi nei vari periodi dell’anno, con forti oscillazioni tra un taglio e l’altro. 

Sono molte in collina e soprattutto in montagna le realtà degradate, aree che vanno perdendo la loro capacità di produrre foraggi in quantità sufficiente. C’è in particolare la situazione diffusa di quelli che erano medicai all’origine, che dopo alcuni anni cominciano a presentare sempre più specie selvatiche divenendo poi in una decina d’anni dei veri e propri prati stabili polifiti indistinguibili dagli altri. Il problema - è stato ricordato - è che in genere, senza interventi agronomici, le specie che via via si diffondono sono infestanti, poco o per nulla interessanti dal punto di vista foraggero, e contribuiscono al progressivo degrado del prato.

Puntare su specie e varietà autoctone

È soprattutto qui che si deve lavorare puntando al ripristino e al miglioramento del cotico erboso affinché sia più resistente e ricco di varietà interessanti dal punto di vista foraggero. È un argomento su cui si sono soffermati anche i relatori successivi, come Davide Bochicchio del CREA e Simone Ravetto Enri dell’Università di Torino, ricordando esperienze e modalità operative per il recupero di prati stabili degradati, mediante transemina o inerbimento diretto. 

Meglio facendo ricorso a specie autoctone, che rispetto a sementi commerciali hanno il vantaggio di una maggiore longevità e migliore capacità di resistere e adattarsi agli stress climatici. Anche qui l’aspetto dei costi – in particolare per la produzione di sementi autoctone – è impegnativo se affrontato dalla singola azienda e quindi riemerge la necessità di inquadrare queste operazioni nell’ambito di progetti complessivi (come è avvenuto in varie situazioni) che tengano conto non solo degli aspetti foraggeri, ma anche di quelli ambientali e sociali legati al recupero dei prati stabili, con un sostegno tecnico ed economico. 

E le bovine che giudizio danno? È interessante riportare quanto sottolineato da Daniele Valcavi, titolare dell’azienda Il Gigante, allevatore che da anni porta avanti (nella sua stalla e con il suo impegno divulgativo) il tema del pascolo e dei prati permanenti. Avere una miscelata in cui è presente foraggio da prato stabile, per la sua appetibilità accresciuta dalla varietà di essenze presenti, aumenta l’ingestione complessiva da parte delle bovine. 

Spunti e suggerimenti 

La parte pomeridiana della giornata ha visto i partecipanti riunirsi in alcuni gruppi di lavoro per analizzare gli aspetti esposti nelle relazioni tecniche della mattina ed elaborare proposte e suggerimenti per lo sviluppo e l’orientamento del progetto Prati stabili. 

È emersa, come c’era da aspettarselo, la divaricazione di prospettiva nella messa in scaletta delle priorità tra pianura e montagna, trattandosi di due realtà con caratteristiche assai distinte. 

In pianura pesa moltissimo la questione irrigua, per la quale serve un coinvolgimento delle istituzioni per arrivare a soluzioni nel medio e lungo periodo che allevino il problema della scarsità idrica. Per la montagna è stato sottolineato il problema della fauna selvatica e il danneggiamento che soprattutto i cinghiali provocano ai prati stabili, ma anche le difficoltà nel riuscire a gestire in maniera adeguata le concimazioni in aree particolarmente impegnative per la meccanizzazione.

Unanime l’interesse per avere maggiori informazioni e indicazioni riguardo alle modalità di ripristino dei prati stabili con fiorumi locali. Tra le modalità pratiche emerse anche quello del recupero del fiorume in greppia, da accantonare e riseminare poi nei propri campi per ripristinare i punti più carenti.

Sottolineata anche la richiesta di formazione per i produttori, per avere sul territorio, in maniera capillare, incontri come questo. Interessante anche l’ipotesi avanzata da Raffaella Ponzio di lavorare su tre casi pilota, tre aziende di caratteristiche diverse, per poter portare poi in una fase successiva del progetto percorsi pratici, con numeri ed esperienze argomentate. 

È emerso anche l’auspicio di una analisi nutrizionale dei formaggi ottenuti da prati stabuli, cosa che pur nella difficoltà legata a razze, fasi, situazioni particolari potrebbe dare risultati interessanti, ha sottolineato ancora Raffaella Ponzio, anche per la promozione e la valorizzazione del formaggio.

E prospettive interessanti potrebbero esserci anche per un sostegno diretto ai produttori di latte che adottando i prati stabili danno un contributo al mantenimento del paesaggio, grazie alla recente possibilità per le Dop di accedere a fondi specifici destinati alla tutela dei territori.

Impegno per il futuro

Insomma, una giornata ricca di spunti e suggerimenti, che si aggiungono al molto che è già presente in tema di prati stabili dovuto a progetti ed esperienze già intraprese in Italia e all’estero. 

Selezionare il meglio di esse, arricchirlo con quanto emerso da incontri come questo, farlo arrivare con una adeguata divulgazione ai vari destinatari è la sfida del progetto Prati stabili.

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